Il dirigente licenziato per soppressione del posto o per ragioni oggettive non vanta il diritto al tentativo di repechage

In caso di licenziamento del dirigente d'azienda per esigenze di ristrutturazione aziendale, è esclusa la possibilità del "repêchage", in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro (Cassazione civile sez. lav., ord. 31/01/2023, n. 2895).

E' noto che il dirigente non è assistito dalla tutela avverso i licenziamenti illegittimi. Egli, quindi, rientra nell'alveo della c.d. libera recedibilità dal rapporto di lavoro, ferma l'applicazione degli artt. 2118-2119 c.c.

I contratti collettivi di categoria, tuttavia, prevedono, in favore del dirigente, un regime indennitario per il licenziamento comminato ingiustificatamente, ossia privo di giustificatezza.

Il concetto di giustificatezza, però, è molto più labile del concetto di giustificato motivo (soggettivo o oggettivo). E' stato chiarito, dalla giurisprudenza di legittimità, che "In ipotesi di licenziamento del dirigente, ai fini della giustificatezza dello stesso, è rilevante qualsiasi motivo che lo sorregga, purché sia coerentemente motivato e fondato su ragioni apprezzabili sul piano del diritto. Infatti, in materia, non è richiesta una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l'arbitrarietà del recesso, in quanto prescritto con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro" (Cassazione civile, sez. lav., 10/11/2021, n. 33254).

Nel caso di licenziamento comminato al dirigente per ragioni legate a esigenze riorganizzative o di ristrutturazione aziendale, ivi compresa la soppressione del posto di lavoro, il concetto di "giustificatezza" diverge notevolmente da quello di "giustificato motivo oggettivo". Infatti, "nella valutazione globale ai fini della "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, non è richiesta una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l'arbitrarietà del recesso, va poi rilevato, con particolare riguardo al giustificato motivo oggettivo, che il licenziamento individuale del dirigente d'azienda può fondarsi su ragioni oggettive relative ad esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l'impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost." (Cassazione civile sez. lav., 17/11/2021, n.34976; la Suprema Corte, nel caso di specie, aveva ritenuto sorretta da motivazione coerente e fondata la motivazione del licenziamento basata su ragioni apprezzabili, consistite principalmente nel rilievo, nell'ambito del processo di razionalizzazione dei vari settori della struttura aziendale, del sovradimensionamento della presenza di due figure aziendali, quella del direttore di controllo e coordinamento e quella del direttore amministrativo, rispetto alle necessità ed alle dimensioni aziendali, nella esistenza di "inutili duplicazioni di funzioni" e nella "necessità immediata di istituire una organizzazione aziendale dell'area amministrativa più snella che preveda l'accorpamento al direttore controllo e coordinamento di alcune delle funzioni gestionali ora svolte dal direttore amministrativo).

La diversità ontologica tra il giustificato motivo oggettivo e la giustificatezza ha altresì portato all'espressione del principio in epigrafe; l'impresa, prima di licenziare il dirigente risultato in esubero, non è tenuta ad assolvere preliminarmente all'onere del repechage.

Il concetto di repechage (tradotto letteralmente in "ripescaggio") è un istituto di derivazione giurisprudenziale, tipico del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e che può così sintetizzarsi: il recesso può dirsi legittimo solo quando il datore di lavoro, a fronte della soppressione della posizione lavorativa facente capo al lavoratore, abbia preventivamente verificato che lo stesso non potesse essere reimpiegato in mansioni compatibili con la sua professionalità e con il suo livello di inquadramento o, perfino, in mansioni inferiori. Detto strumento giuridico consente di comminare il licenziamento solo quale extrema ratio.

L'istituto del repechage, però, come accennato, non è invocabile dal dirigente. Con sentenza coeva a quella commentata, è stato confermato che, "... ai fini della giustificatezza del licenziamento del licenziamento del dirigente il cui rapporto di lavoro sia stato risolto in occasione della soppressione del posto presso il quale era stato occupato non si accompagna un obbligo per il datore di lavoro di verificare l'esistenza in azienda di altre posizioni utili presso cui ricollocarlo. Tale eventualità è inconciliabile con la stessa posizione dirigenziale del lavoratore, posizione che, d'altro canto, giustifica la libera recedibilità del datore di lavoro senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente (cfr. Cass. 11/02/2013 n. 3175 e nello stesso senso le sentenze dalla decisione richiamate Cass. n. 2266 del 2007, n. 322 del 2003 e n. 14310 del 2002. Cfr. altresì recentemente Cass. 11/01/2022 n. 569 che richiama anche Cass. n. 14193 del 2016, la citata n. 3175 del 2013 ed anche Cass. n. 25145 del 2010)" (Cassazione civile sez. lav., 19/01/2023, n.1581).