La responsabilità per infortunio negli appalti


Due recenti sentenze della Corte di Cassazione, una della Sezione Lavoro, l'altra della IV Sezione Penale, consentono di trattare alcuni aspetti legati alla delicata tematica della sicurezza sul lavoro, in presenza di un appalto d'opera o di servizio e di contemporanea presenza sul cantiere di più imprese, in particolare della committente e dell'appaltatrice.

La sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro.

La Corte di Cassazione Civile, sez. lav., con la sentenza 27/01/2023, n. 2517, ha cassato una sentenza della Corte d'Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, che aveva escluso la responsabilità della subcommittente per un infortunio occorso ad un dipendente della subappaltatrice - per precarietà nella collocazione di travi metalliche - in area di cantiere recintata e gestita in via esclusiva da quest'ultima.

La Suprema Corte ha posto a base della decisione, in primo luogo, due norme ormai abrogate, ma di fatto trasfuse - seppur con adattamenti e revisioni - nel d.lgs. 81/2008.

La prima norma esaminata è l'art. 7 d.lgs. 626/1994, abrogato e sostituito dall'art. 26 d.lgs. 81/2008, che conteneva la disciplina degli obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera (cui l'art. 26 d.lgs. 81/2008 aggiunge i contratti di somministrazione).

In caso di contratti di appalto affidati dalla committente all'impresa appaltatrice all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto, la prima ha un obbligo di verifica preliminare dell'idoneità tecnico-professionale della seconda.

Soprattutto, però, l'art. 7 d.lgs. 626/94 imponeva - come ugualmente fa, ma in maniera più rigorosa e precisa, l'art. 26 d.lgs. 81/2018 - ai datori di lavoro coinvolti nell'appalto:

a) di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;

b) di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.

Al fine di facilitare ed attuare il suddetto coordinamento, il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non e' possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze (il c.d. DUVRI).

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, entrava in gioco anche l'abrogata disciplina di cui all'art. D.Lgs. n. 494 del 1996, per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, oggi sostituita dalle norme del titolo IV del d.lgs. 81/2008. Trattasi della normativa di attuazione della c.d. "direttiva cantieri" (Direttiva 92/57/CEE), che impone, nei cantieri temporanei e mobili, documenti speciali per valutare i rischi delle lavorazioni di cantiere e stabilire le misure preventive da adottare per la sicurezza dei lavoratori: il P.S.C. (Piano di Sicurezza e Coordinamento), redatto dal coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP), su incarico dell'impresa committente, ed il P.O.S. (Piano Operativo della Sicurezza), redatto dall'impresa esecutrice dei lavori (appaltatrice).

La Suprema Corte, analizzando la disciplina comunitaria dalla quale promana quella nazionale sopra citata (Direttiva 89/197/CEE, Direttiva 92/57/CEE, Direttiva 89/391/CEE), ha chiarito alcuni concetti essenziali ai fini della decisione nel caso concreto:

a) l'obbligo di cooperazione e di coordinamento, previa una reciproca informazione sui rischi professionali, da parte dei "datori di lavoro" riguarda non solo coloro che, nella gestione della propria impresa, esercitino un potere gerarchico di direzione, controllo e disciplinare su dipendenti e collaboratori, a norma degli artt. 2086 e 2094 c.c., ma tutti gli imprenditori, che, per legge o per contratto, abbiano un tale obbligo;

b) la tutela della sicurezza sul lavoro, mediante cooperazione e coordinamento, è apprestata nei confronti di "lavoratori di più imprese", evidentemente diverse anche dalla propria;

c) l'obbligo di cooperazione e di coordinamento è imposto a più imprese che siano "presenti" in uno "stesso luogo di lavoro", da intendere, non già in un rigoroso ambito endo-aziendale, bensì in quello di una "compresenza" organizzata e coordinata (di lavoratori di più imprese, nel senso detto) in un "luogo" individuato come medesimo dal "lavoro" (in uno "stesso luogo di lavoro"), corrispondente alla finalità di "realizzazione dell'opera".

Fatte tali precisazioni, la Corte di Cassazione ha formulato due principi di diritto, tra loro collegati.

Il primo di essi stabilisce la portata degli obblighi del (sub)committente e del (sub)appaltatore:

"In tema di responsabilità ex artt. 2087 c.c. e 7 del d.lgs. n. 626 del 1994, per i danni derivati al lavoratore dall'inosservanza delle misure di tutela delle condizioni di lavoro nel corso di attività concesse in appalto, le locuzioni normative di cui agli artt. 6, par. 4, della Direttiva 89/391/CEE (datori di lavoro), e 8 della Direttiva 92/57/CEE (realizzazione dell'opera) vanno interpretate nel senso che nella categoria dei "datori di lavoro" tenuti agli obblighi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, rientrano sia il sub-committente che il sub-appaltatore, qualora collaborino insieme nell'ambito del medesimo procedimento produttivo, finalizzato alla realizzazione di una "stessa opera", che si compia all'interno di un qualunque luogo a ciò funzionalmente destinato e che li coinvolga entrambi in attività, ancorché parziali e diverse, sinergicamente dirette al medesimo scopo produttivo, così rendendoli reciprocamente responsabili delle omissioni degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori in essa impiegati".

Il secondo principio di diritto, invece, riguarda le conseguenze dell'eventuale accertamento della corresponsabilità di due o più imprese nella causazione dell'infortunio, consistenti nel sorgere di una responsabilità solidale ex art. 1294 c.c.:

"In materia di infortuni sul lavoro, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell'evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell'articolo 1294 del codice civile tra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, e a sufficiente, ai fini della responsabilità solidale virgola che tutte le singole azioni omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano l'inizio di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni patrimoniali e non da risarcire".

La sentenza della Corte di Cassazione, IV sezione penale.

La lettura della sentenza resa dalla Corte di Cassazione, sezione IV penale, 31/05/2022, n. 23137 (depositata il 14/06/2022) impone di considerare un'ulteriore e ben più grave insidia che grava sul committente di un appalto, il quale può essere chiamato a rispondere, anche penalmente (il più delle volte per lesioni colpose o omicidio colposo), non solo per aver violato gli obblighi di scelta adeguata dell'appaltatore e di cooperazione e coordinamento per evitare o ridurre i rischi di infortunio, ma quale vero e proprio datore di lavoro diretto, o "di fatto", del lavoratore, con tutti gli ulteriori obblighi che gravano su tale figura (tra i tanti, si ricordano gli obblighi di valutazione dei rischi propri dell'attività eseguita, di apprestamento di adeguate misure per evitarli, di formazione e informazione dei lavoratori, di sorveglianza tecnica e sanitaria, etc.).

Ciò accade tutte quelle volte in cui si verifica una situazione di appalto non genuino o di somministrazione irregolare, per difetto dei requisiti di cui all'art. 29 d.lgs. 276/2003, consistenti nell'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto.

Quando il committente si ingerisce direttamente nella gestione ed organizzazione del personale dipendente dell'appaltatore, impartendogli direttive direttamente ed organizzandone a propria discrezione l'attività lavorativa, egli assume il ruolo di vero e proprio datore di lavoro, non solo dal punto di vista giuslavoristico (con l'imputazione diretta in capo al medesimo del rapporto di lavoro, su iniziativa del lavoratore irregolarmente somministrato), ma anche sotto il profilo della sicurezza, e ciò per espressa disposizione legislativa.

L'art. 299 del d.lgs. 81/2008, infatti, prevede: "Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e) ["datore di lavoro", "dirigente" e "preposto", ndr.], gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".

Sulla base di tali principi, la citata sentenza della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna inflitta al legale rappresentante della società committente per un infortunio occorso ad un lavoratore dipendente della cooperativa appaltatrice, "nella sua qualità di datore di lavoro di fatto", essendo stata accertata, nel giudizio di merito, una vicenda di appalto non genuino.