Whistleblowing e rilevanza delle condotte illecite tenute dal denunciante.



Con ordinanza 31/03/2023 n.9148 la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha espresso il seguente principio di diritto in materia di whistleblowing:

"La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguardia il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell'apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo".

Il caso.

Un'infermiera professionale, dipendente pubblica presso un'Azienda Ospedaliera, è stata sanzionata dal proprio datore di lavoro, con la sospensione per quattro mesi, per avere svolto attività presso ente privato, senza preventiva autorizzazione, per lungo periodo e con percezione di compensi non irrisori.

Sia il Tribunale adito dalla lavoratrice che la Corte d'Appello hanno ritenuto legittima la sanzione. E' stata respinta la tesi della lavoratrice secondo la quale ella avrebbe avuto diritto all'impunità per aver denunciato analoghe condotte tenute da altro personale dell'Azienda Ospedaliera. Per la Corte d'Appello, l'art. 54-bis, d.lgs. 165/2001, che ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina sul c.d. whistleblowing, non ha introdotto uno scudo generalizzato rispetto agli illeciti del denunciante, al massimo la denuncia potendo costituire esimente in caso di concorso nel medesimo fatto illecito denunciato.

La lavoratrice è ricorsa in cassazione, sostenendo che la norma in questione dovesse attribuire una protezione efficace ed effettiva della denunciante, con conseguente protezione da ogni conseguenza sanzionatoria, escludendo la sola ipotesi in cui la denuncia integri calunnia o diffamazione, per imputazione di fatto non vero.

La disciplina del whistleblowing.

L'art. 54 bis d.lgs. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego) ha introdotto per la prima volta la disciplina del c.d. whistleblowing, contenente una tutela protezionistica verso chi denunci condotte illecite apprese sul luogo di lavoro, nell'interesse generale.

In generale, chi denunci condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione.

La disciplina è stata successivamente riformata dalla legge 30 novembre 2017 n. 179, che ha altresì esteso il campo di applicazione della tutela del whistleblower anche al settore privato, attraverso la modifica dell'art. 6 del D. Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ed introducendo il comma 2-bis.

La normativa, infine, è stata completamente riformata e riorganizzata dal D.lgs. 10 marzo 2023 n. 24, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2023, che recepisce la Direttiva 2019/1937 sul whistleblowing (si rimanda a separato articolo l'esame più approfondito della nuova disciplina).

La petizione di principio a base della normativa è ben espressa nella direttiva UE 2019/1937: "Coloro che segnalano minacce o pregiudizi al pubblico interesse di cui sono venuti a sapere nell’ambito delle loro attività professionali esercitano il diritto alla libertà di espressione. Il diritto alla libertà di espressione e d’informazione, sancito dall’articolo 11 della Carta e dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [Carta di Nizza, ndr], comprende il diritto di ricevere o di comunicare informazioni nonché la libertà e il pluralismo dei media. Di conseguenza, la presente direttiva si basa sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) relativa al diritto alla libertà di espressione e ai principi elaborati su tale base dal Consiglio d’Europa nella raccomandazione sulla protezione degli informatori adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 30 aprile 2014".

La funzione pratica della disciplina è quella di proteggere il lavoratore denunciante da rischi e paure di ritorsioni che, diversamente, renderebbero inimmaginabili denunce mentre il rapporto di lavoro è ancora pendente.

La decisione della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione, nell'ordinanza in commento, ha rigettato il motivo di ricorso e confermato la sentenza d'appello.

Per la Suprema Corte, la norma vieta sanzioni per le segnalazioni effettuate dal dipendente ai propri superiori di illeciti altrui; resta, invece, al di fuori della copertura fornita dalla norma l'applicazione al dipendente di una sanzione per comportamenti illeciti suoi propri. La specifica tutela apprestata dalla disciplina citata, infatti, non esime da responsabilità chi commetta un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare la commissione del medesimo fatto o di fatti analoghi ad opera di altri dipendenti.